Istà

caldoIstà (Estate)

 

Che non ci siano più le mezze stagioni oramai è un dato di fatto e anche quelle che sono rimaste assomigliano ben poco agli inverni e alle estati con le quali sono cresciuto. Non è questa la circostanza per affrontare discussioni in materia di mutazioni climatiche e delle cause che possono averle indotte. Il caldo e il freddo ci hanno sempre accompagnati, almeno in queste nostre regioni, scandendo il tempo della vita contadina e con essa il passare degli anni. Oggi si è tentati ad estremizzare qualsiasi cosa, fenomeni meteo compresi, e in qualche occasione effettivamente non ci si va molto lontano (bufere, tempeste, “bombe d’acqua”, periodi di siccità ed altri eccessivamente piovosi). E tutto entra a far parte di quella scienza che si chiama statistica e che pone ogni fenomeno al di sopra o al di sotto della normalità. Tuttavia chi può arrivare con la memoria ad alcuni decenni fa credo che si ricordi dei “ghiaccioli” appesi alle grondaie e dei fossi ghiacciati, così come delle estati anche allora roventi, delle siccità e di paurosi temporali. Tutto si svolgeva secondo un ordine naturale e altro non si poteva fare se non accettare quello che il “Cielo” ci mandava. In tutta serenità, guardando al massimo da che pare tirava il vento o di come calava il sole la sera.

Istà
(mariasantissimachecaldo)
*
I na dito “quei del tempo”
che sarà na gran calura
anca st’ano ecezionale
tanto da far proprio paura
 *
pure el nome i gha dà al caldo
solo quelo el te spaventa
ghe ci pensa zà a l’iferno
e ci a na bibita ala menta
 *
e ci se vede su in montagna
in braghe curte e canotiera
a gustarse l’aria fresca,
fastidiosa verso sera
*
Tuto sta a no farghe caso
che l’istà la riva istesso
senza che i te lo ricorda
ogni dì sempre più spesso
*
Alarme ghe caldo, alarme ghe fredo
pieni de ansia in continua emergenza
a spetar che se avera le prevesion
sperando ch’el tempo el ne usa clemenza
*
Epure ancora ricordo
un buteleto descalzo
saltar come un grilo
sul seleze impizo
*
un omo sentà
soto l’ombra de un piopo
che guarda el formento
e pensa par dopo
*
meza anguria moreta
sula tola taià
che stasera se zena
col pan-biscoto pocià
*
la racolina dal fosso che la tien compagnia
la cicala che recita sempre la stessa poesia
*
L’era l’istà dela me primavera,
go girà l’ocio un secondo e la me scapà via
*
***
(gianfrancomarangoni 03/08/2015)

 

Santa Lucia dela brava gente

Santa_Lucia_

Santa Lucia dela brava gente

Santa Lucia, al posto dei doni
porteme st’ano tanti carboni
che drento ala stua li meto a brusar
che anca st’inverno
me schivo l’inferno

porteme un saco de gran de somenza
ch’el sior de la casa el ga poca pazienza
e par la stajon che la tera se sveja
son zà preparà
co la schena piegà

par un po’ del dotor voria farghene senza
no che s’el ven ghe femo bruta acoglienza
ma le mejo catarse a l’ostaria
far un brindisi ala salute
e le magagne desmentegarsele tute

porteme in leto con la pace nel cor
su par le scale par man del me amor
pronto par n’altra matina de sudori e fadighe
porteme el sol e l’acqua col vento
porteme a fine giornada contento.
**

(gianfrancomarangoni 13/12/2014)

Filastroca dela semplicità

disperato501777_horrorE’ nella consuetudine della maggior parte delle persone fare di ogni singola questione un problema di grandi dimensioni. Il cervello si trasforma in un laboratorio in cui si simulano gli scenari più complessi, tante volte senza via d’uscita. Basterebbe tirare un bel respiro profondo e affrontare la questione con un po’ di serenità per rendersi conto di quanto la soluzione sia alla nostra portata. Vedere e prendere semplicemente le cose per quello che sono come ce lo suggeriscono da tempi antichi i “vecchi saggi” con l’aiuto di questa filastrocca che ho chiamato “Filastroca dela semplicità”:

 

 

Mi go fame, sono e se,
spira al naso e fredo ai piè
Magnando, dormendo, beendo,
gratandome el naso, scaldandome i piè
Me passa
Fame, sono e se, spira al naso e fredo ai piè

semplice, che ve ne pare!

(gianfrancomarangoni 08/12/2014)

Invito a noze

invito-a-nozze“Femo de manco de andar a catarli par un toco, magari i se desmentega. E inveze…”
E’ inutile girarci tanto intorno, oggigiorno un invito a nozze non sempre riempie di gioia e spesso mette in moto le fantasie più bizzarre per trovare una scusa per dire: “Che peccato! NON posso proprio venire!”, tirando un bel sospiro di sollievo e sperando che se la siano bevuta (quasi mai). Già perché “quelli là”, che d’improvviso si sono ricordati anche di te, avevano calcolato tutto: la lista di regali utili fatta nel negozio di fiducia (quelli meno costosi saranno i primi a essere prenotati dagli invitati più svelti) e un “tot di buste” per coprire il costo del viaggio di nozze. E quando si parla di “busta”, mano al portafoglio: bisogna che salti fuori il costo del pranzo, del biglietto d’invito, della bomboniera, del prete che vuole la sua parte sotto forma di generosa elargizione e qualcosa deve pur restare anche ai due sposini. Sperando che il vestito messo per la Comunione del figlio più piccolo vada ancora bene, altrimenti l’esborso come minimo raddoppia. E ironia della sorte succede che poi a tavola non ci si può neanche ingozzare come si addice all’occasione: il diabete, il colesterolo, la gastrite, la colite, i chili da tenere sotto controllo, … che stress! L’invitato ha deciso: ha un altro impegno, inderogabile!
Che tristezza!
Eppure dovrebbe essere un giorno meraviglioso, e a renderlo tale dovrebbe contribuire ogni invitato col suo fare festoso e col suo calore da spargere intorno agli sposi. “Pochi ma boni!” è proprio così che dovrebbe essere, perché la festa la si fa con chi ci vuole bene, senza mettersi a fare calcoli di convenienza. E chi ci vuole bene sarà lì perché gliel’ha consigliato il suo cuore. Forse molto tempo fa, è come se stessimo raccontando una favola, era proprio così. Chi si sposava aveva bisogno di tutto e non si metteva a calcolare il valore dei regali che riceveva. Il pranzo magari era organizzato “in famiglia” per i parenti e gli amici più cari.
E se oggi fosse come allora!? Dopo tutto “ i pochi ma boni, i ghe ancora…”

Invito a noze

Cara moier, gheto sentio la notizia?
la fiola del Gino la sa fato noiza
**
tegnemose pronti a inventarghe ‘na scusa
co’ l’aria che tira le meio darghela sbusa
se i ne invita al completo, in quatro in fameia
par un toco me sa che resta uda la teia
**
No le più come ai tempi che bastava ‘na bela scudela
de tera cota o de vero, o magari ‘na utile ombrela
**
al giorno de ancò de gnente più i ga bisogno
se non de inventarse un viazo da sogno
da pagarse coi schei che i tira su co le buste
e inveze mi resto qua con le scassele ben lustre
che par farli contenti e restar de bon grado
par siè mesi me toca magnar brodo de dado
**
Altro che festa par i sposi contenti
qua la festa i la fa ai amici e parenti
**
Semo proprio malmessi pensar in sta maniera
ma come in tute le fole ghe manca la parte più vera

**
‘Na tola strapiena de gente sincera
che magna e che bala dala matina ala sera
invità dai sposini par far parte dela so storia
messi drento ale foto come un bel promemoria
parchè quelo che conta ala fine del giorno
le che ci te vol ben te ghe ie avui tuti intorno
***

(gianfrancomarangoni 05/11/2013)

La Festa de San Zen

Festa paesanaSan Zeno è uno degli otto quartieri di Cerea in cui annualmente si tiene la “festa” promossa e curata dal Comitato locale. E’ senza dubbio l’evento più importane e più impegnativo per i “volonterosi” che in quell’occasione si mettono a disposizione per la buona riuscita della manifestazione. Succede in quel di San Zeno, ma la stesso accade per il quartiere di San Vito o Palesella, oppure Cherubine, Aselogna, Asparetto, Cerea Centro e Cerea Sud. La si chiami “festa” o “sagra”, la sostanza non cambia di molto, se non per la presenza di qualche giostra e qualche bancarella. Tutti quanti però hanno un filo comune: si mangia, si suona e si balla. Insomma ci si diverte, si passa qualche serata in compagnia davanti a un piatto di risotto, “quello buono”, o di salamelle con la polenta che spargono per i capanni il loro profumo stuzzicante. Ma la cosa più importante è l’occasione per molte persone di ritrovarsi, di darsi appuntamento al tavolo come “l’anno scorso”, fare “quatro ciacole” con l’amico che non si vedeva da tempo e, tra un sorriso e una stretta di mano, prendere l’occasione per brindare insieme a questa vita che nel bene o nel male non finisce mai di stupirci.

La Festa de San Zen

Ala Festa de San Zen
Gente che va e gente che ven
Gente che magna polenta e panzeta
E dopo pedala su la bicicleta

Un giro de valzer e uno de tango
Un bicer de vin bianco da gustarse sudando
Tra ‘na ciacola e l’altra soto el tendon
Con ‘na bava de aria da far compassion

Tanti bravi butei che i sa dato da far
Ghe ci tira su i schei e ci fa da magnar
Porta i piati de riso e sparecia le tole
Fin a note macà che le gambe iè mole

Ma oto metar che bela la sodisfazion
Vedar tuta sta gente nel capanon
Che promete, diman de sicuro vegnen
A gòdarse ancora al quartier de San Zen

***

(gianfrancomarangoni 20/05/2014)

Bigoli e Sardele

Bigoli e sardela

Le tradizioni sono la nostra storia e non devono mai essere dimenticate.

I bigoli sono un piatto tipico veneto che un tempo i contadini preparavano con ingredienti semplici: farina, acqua e sale. Qualche sarda “sciolta” in poco olio e il condimento è pronto. Considerato un piatto magro, sono diventati il piatto tipico dei giorni in cui la tradizione cristiana chiedeva qualche sacrificio in più con il digiuno e l’astinenza (bisogna magnar de magro), come se già non se ne facessero abbastanza, in particolare il Mercoledì delle Ceneri, il Venerdì Santo e la Vigilia di Natale.

Sono passati gli anni e sono cambiati i tempi, l’abbondanza ha preso il posto della carestia ma l’abitudine ha resistito, anche se il significato non è proprio più lo stesso e solitamente ci si alza da una tavola dove digiuno e astinenza non hanno più alcun significato, ma almeno rimane l’occasione per scambiarsi gli auguri, per allungare una mano e dirsi: ”Buon Natale!”

Bigoli e Sardele
**
Ogni Vigilia le sempre de quela
in tola ghe i bigoli con la sardela
*
Messi su come vol la tradizion
senza zontarghe altro gnente de bon
*
Gnente formaio me racomando
bùteli zo, te digo mi quando
*
Da chi du minuti sarò a casa mia
pronto a magnar in compagnia
*
Prepara la tola coi piati più bei
e tira fora el vin bianco che ghe piase ai butei
*
Atenti a le resche che ie fine e le ponze
fense su i manegoti che se no i ne se onze
*
Con ‘na man giro i bigoli intorno al piron
in quel’altra go pronto un bicer de quel bon
*
Mandolato e mostarda par finir el disnar
el cafè nela taza che me fa digerir
guardo fora la nebia con ‘na man in scassela
col gusto in boca dei bigoli con la sardela
**
(gianfrancomarangoni 22/12/2013)

La Zuca

zucca-delica

Da sola o con primi e secondi piatti, negli sformati, nei tortini, nei dolci o semplicemente cotta nel forno al punto giusto, quando una leggera crosta la avvolge completamente, la zucca si presta a molteplici impieghi nella cucina, povera o elaborata che si voglia. Un tempo nelle case c’era quell’indispensabile utensile che si definiva “cucina”, una stufa a legna completa di contenitore per l’acqua calda e di un piccolo forno nel quale, tra le altre cose, ci si biscottava il pane che stava diventando un po’ troppo vecchio e ogni tanto vi finiva qualche pezzo di zucca a fargli compagnia. Ricordo che ci gironzolavo intorno finché non era pronta da mangiare e, credete, era una vera delizia. Per non parlare del risotto con la zucca o dei tortelli di zucca, delle vere specialità. Provatela anche sulla pizza: non ve ne pentirete!

 La Zuca

Un bel toco de zuca
cota nel forno
la se magna de gusto
a ogni ora del giorno

Le morbida e dolza
le bela, le giala
nel piato che fuma
la fa oia vardarla

No se buta via gnente
dala polpa ala scorza
le cossì generosa
che la piase par forza

missià nel risoto
o drento i tortei
a ci ie senza denti
ai anziani e ai butei

Fruto dei campi,
de la tera che da li a poco se ponsa
e ariva el fredo che la quacia e la struca
par smolarse al passar de l’inverno
e farghe posto a una nova pianta de zuca

***

(gianfrancomarangoni 11/10/2013)

Formento

grano-e-papaveri

 

 

 

Mi sono fermato tante volte ad osservare quella dorata distesa di spighe che si piegano mosse dal vento, impreziosita dai papaveri rossi come rubini. Spesso in quei momenti torno agli anni della mia infanzia, quando il frumento, una volta raccolto, veniva steso ad essiccare al sole per poi essere messo nei sacchi e stivato nel granaio o venduto. Quando potevo mi piaceva affondare la mano nei sacchi di frumento e stringere quei chicchi che poi sarebbero diventati farina per fare il pane che a sera trovavo sulla tavola.

Formento

Nel campo de giugno
mosso dal vento
varda che belo
sto mar de formento

giala la spiga
se moe come n’onda
la someia a la testa
de na bambola bionda

col papavero rosso
che ghe fa da decoro
proprio come un rubin
incastrà in mezo l’oro

In ogni gran ghe l’amor
ghe fadiga e sudor
de ci laora la tera
coi brazi e col cor

de un papà che ogni giorno
mete el pan su la tola
de un marì che rincasa
quando e ciel le zà viola

de na mama che insegna
ai fioi che bisogna sperar
de na moier che la sera
prepara impizo el fogolar

E fin che core i ricordi
sento ancora la man
che careza la vita
in un pugno de gran.

(gianfrancomarangoni 30/06/2013)

versione in Italiano

Pesse d’april

pesce-aprile

C’è poco da dire in merito a questa curiosa ricorrenza che risale probabilmente a prima che venisse adottato il calendario Gregoriano, in coincidenza con i festeggiamenti del Capodanno, tra il 25 marzo e il 1° di aprile. Quello che leggerete di seguito è ispirato ad un fatto realmente accaduto, che mio padre mi raccontò quando ero ancora ragazzino e che mi fa ancora sorridere ogni vota che lo ricordo.
 
 
 
 
 
 
 
 
Pesse d’april

"Varda gh’el Bepi"
da ogni parte se sente
a ogni passo ch’el moe
in mezo ala gente

E lu come el fusse
la star del momento
caminando nol toca
gnanca el cemento

Senza rendarse conto
che tuta la scena
le dovua al cartel
tacà dedrio a la schena

Ancò le giornada
che ogni scherzo è concesso
senza rabiarte
che tanto le istesso

Rideghe sora
tola con stile
su con la vita
le el Pesse d’Aprile

***
(gianfrancomarangoni 01/04/2013)
 
 
 

El pegnatin (la magia de ‘na olta)

Streghe_2

Per secoli streghe e stregoni hanno dimorato nella fantasia popolare, alimentando storie stravaganti raccontate nelle sere d’inverno davanti alla luce tremolante e al calore del camino. Da una generazione all’altra rapivano la curiosità e incutevano paura in giovani e bambini, tra il timore reverenziale di chi le raccontava, di chi portava testimonianze di conoscenti e compaesani. Morie inspiegabili che colpivano stalle e pollai al passaggio di “quella vecchia”,  quella da nominare sottovoce, quella che aveva ricevuto la “conoscenza” al capezzale del letto dalla madre che altrimenti non ce l’avrebbe fatta a trapassare. Fiori che appassivano e si seccavano, rituali per individuare la “stria” (strega) e annullare gli effetti dei suoi màlefici. E comunque  c’era anche chi della “magia” ne faceva uso a fin di bene, per procurare guarigioni, sistemare brutte faccende. In tutto questo mondo di buoni e cattivi trovava il suo posto “el pegnatin”, l’esempio di magia popolare più accessibile e meno impegnativa, praticata di tanto in tanto su commissione dalla “maga” meno improbabile del paese.
 
 
 
 
 
El pegnatin (la magia de ‘na olta) 

Là soto el portego
con la grombiala smaria
impeto al fogolaro
se senta la stria

Le parona de l’arte
tramandà ne l’ultima ora
che so mama spetava
par no patir ancora

La gata rufiana
ghe fa compagnia
come la volesse iutarghe
a imbastir la magia

Con el vento che tira
e la piova che casca
brusa fogo stanote
alza la fiama nela borasca

Na zata de galo
e un cuciaro de oio
drento el pegnato
con l’acqua de boio

Na treza de paia
‘nde l’asedo pocià
la raisa segreta
a fetine taià

E dopo un’ ora ch’el boie
tacà soto el camin
le pronto par l’uso
el pegnatin
 

***
(gianfrancomarangoni 01/04/2013)
 
 
 
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