Che non ci siano più le mezze stagioni oramai è un dato di fatto e anche quelle che sono rimaste assomigliano ben poco agli inverni e alle estati con le quali sono cresciuto. Non è questa la circostanza per affrontare discussioni in materia di mutazioni climatiche e delle cause che possono averle indotte. Il caldo e il freddo ci hanno sempre accompagnati, almeno in queste nostre regioni, scandendo il tempo della vita contadina e con essa il passare degli anni. Oggi si è tentati ad estremizzare qualsiasi cosa, fenomeni meteo compresi, e in qualche occasione effettivamente non ci si va molto lontano (bufere, tempeste, “bombe d’acqua”, periodi di siccità ed altri eccessivamente piovosi). E tutto entra a far parte di quella scienza che si chiama statistica e che pone ogni fenomeno al di sopra o al di sotto della normalità. Tuttavia chi può arrivare con la memoria ad alcuni decenni fa credo che si ricordi dei “ghiaccioli” appesi alle grondaie e dei fossi ghiacciati, così come delle estati anche allora roventi, delle siccità e di paurosi temporali. Tutto si svolgeva secondo un ordine naturale e altro non si poteva fare se non accettare quello che il “Cielo” ci mandava. In tutta serenità, guardando al massimo da che pare tirava il vento o di come calava il sole la sera.
che sarà na gran calura
anca st’ano ecezionale
tanto da far proprio paura
solo quelo el te spaventa
ghe ci pensa zà a l’iferno
e ci a na bibita ala menta
in braghe curte e canotiera
a gustarse l’aria fresca,
fastidiosa verso sera
che l’istà la riva istesso
senza che i te lo ricorda
ogni dì sempre più spesso
pieni de ansia in continua emergenza
a spetar che se avera le prevesion
sperando ch’el tempo el ne usa clemenza
un buteleto descalzo
saltar come un grilo
sul seleze impizo
soto l’ombra de un piopo
che guarda el formento
e pensa par dopo
sula tola taià
che stasera se zena
col pan-biscoto pocià
la cicala che recita sempre la stessa poesia
L’era l’istà dela me primavera,
go girà l’ocio un secondo e la me scapà via