Poesie (old)

Poesie (old)

Alcune delle poesie pubblicate in questa sezione sono scritte nel dialetto che ho parlato fin da bambino, il dialetto ceretano, o cereano. Spesso trattano della vita delle nostre campagne, di come si svolgeva un tempo e di cui mi è rimasto ancora qualche ricordo. Sono sempre stato convinto che un individuo ha il diritto di riconoscersi in una cultura che sia espressione delle proprie origini, origini che non può né dimenticare, né cancellare. Solo conoscendo da dove si parte ci si può fare un’idea della direzione da prendere.

 

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Elenco poesie
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A Rosanna (scritta il 24/02/2012 – pubblicata il 03/01/2013) >> trova nella pagina

Bigoli e Sardele (dialettale – scritta il 22/12/2013 – pubblicta il 23/12/2013 >> trova nella pagina

Buon Anniversario (scritta e pubblicta il 19/09/2013) >> trova nella pagina

Buon Anno (scritta e pubblicata il 31/12/2013) >> trova nella pagina

Buon Natale (scritta il 30/11/2016 – pubblicata il 20/12/2016) >> trova nella pagina

Come la rosa (scritta il 14/02/2013 – pubblicata il 17/02/2013) >> trova nella pagina

Come un Pierrot (scritta il 14/11/2019 – pubblicata il 30/11/2019) >> trova nella pagina

Dolce Novembre (scritta il 10/10/2016 – pubblicata il 4/11/2016) >> trova nella pagina

E’ arrivata Giulia (scritta il 26/06/2020 – pubblicata 03/07/2020) >> trova nella pagina

Écome qua (dialettale – scritta il 21/04/2016 – pubblicata l’ 8/06/2016) >> trova nella pagina

Ed ecco Autunno (scritta il 4/10/2020 – pubblicata il 9/10/2020) >> trova nella pagina

El du Novembre (dialettale scritta il 21/10/2020 – pubblicata l’1/11/2020) >> trova nella pagina

El fogazin (dialettale – scritta il 4/10/2012 – publicata il 9/10/2012) >> trova nella pagina

El pingolo ( dialettale – scritta e pubblicata il 6/5/2012)  >> trova nella pagina

El Murador (dialettale – scritta il 4/9/2007 – pubblicata il 13/5/2012)   >> trova nella pagina

El pegnatin ( la magia de ‘na olta) (dialettale – scritta e pubbl. il 01/04/2013) >> trova nella pagina

El Polastrel (dialettale – scritta il 31/12/2006 – pubblicata il 14/01/2013) >> trova nella pagina

Equinozio d’Autunno (scritta il 23/09/2019 – pubblicata il 17/11/2019) >> trova nella pagina

Filastroca dela semplicità (dialettale – scritta e pubblicata 08/12/2014) >> trova nella pagina

Formento (dialettale – scritta il 30/06/2013 – pubblicata il 05/07/2013) >> trova nella pagina

Frumento (scritta il 30/06/2013 – pubblicata il 04/07/2013) >> trova nella pagina

Grande Madre (scritta il 17/08/2012 – pubblicata il 18/08/2012)  >> trova nella pagina

Il Conte (scritta il 05/02/2018 – pubblicata il 06/02/2018) >> trova nella pagina

Il lago a sera (scritta il 21/10/2012 – pubblicata il 23/10/2012) >> trova nella pagina

Il mio tempo (scritta il 21/03/2013 – pubblicata il 24/03/2012) >> trova nella pagina

Il Malandrino e l’Arcobaleno (scritta il 23/10/2010 – pubblicata il 13/6/2012)  >> trova nella pagina

Invito a noze (dialettale – scritta il 5/11/2013 – pubblicata il 26/09/2014) >> trova nella pagina

Istà (dialettale – scritta il 03/08/2015 – pubblicata il 06/08/2015) >> trova nella pagina

L’ Albero “AcchiappaSole” (scritta e pubblicata 12/4/2012)  >> trova nella pagina

L’ Eredità (dialettale – scritta il 14/08/2016 – pubblicata il 27/08/2016 >> trova nella pagina

La Cogoma (dialettale – scritta il 25/11/2019 – pubblicata il 30/11/2019 >> trova nella pagina

La coscienza fuori posto (scritta e pubblicata 20/4/2012)  >> trova nella pagina

La Festa de San Zen (dialettale – scritta il 20/05/2014 – pubbl. il 27/05/2014) >> trova nella pagina

La Puntura (dialettale – scritta e pubblicata 04/05/2017) >> trova nella pagina

La racolina (dialettale – scritta  il 18/5/2012 – pubblicata l’ 1/6/2012)  >> trova nella pagina

La zuca (dialettale – scritta l’11/10/2013 – pubblicata il 17/10/2013) >> trova nella pagina

Novembre mio (scritta e pubblicata 23/11/2017) >> trova nella pagina

Oltre l’ orizzonte (scritta il 06/04/2015 – pubblicata il 07/04/2015) >> trova nella pagina

Pesse d’april (dialettale – scritta e pubblicata il 01/04/2013) >> trova nella pagina

Prima sera d’estate, il merlo (scritta l’11/06/2017 – pubblicata il 15/06/2017) >> trova nella pagina

Riso co’ la zuca (dialettale – scritta il 30/10/2015 – pubblicata il 14/11/2015) >> trova nella pagina

Rosa blu dell’inverno (scritta il 13/12/2012 e pubblicata il 14/12/2012) >> trova nella pagina

San Martin (dialettale – scritta e pubblicata l’ 11/11/2012) >> trova nella pagina

Santa Lucia (scritta il 12/12/2011 – rivista e pubblicata il 10/12/2013) >> trova nella pagina

Sessanta Inverni (scritta il 28/02/2019 – pubblicata il 10/03/2019) >> trova nella pagina

Sete di … (scritta il 26/08/2012 – pubblicata il 28/08/2012) >> trova nella pagina

Soffia vento forte (scritta il 28/04/2020 – pubblicata il 07/05/2020) >> trova nella pagina

Su & Giù (scritta il 21/02/2014 – pubblicata il 23/02/2014) >> trova nella pagina

Sul Lago Maggiore (scritta il 12/08/2014 – pubblicata il 31/08/2014) >> trova nella pagina

Te l’avea dito! (mi) (dialettale – scritta e pubblicata il 13/10/2017) >> trova nella pagina

Vaca boia, le istà (dialettale – scritta l’ 11/08/2019 e pubblicata il 16/08/2019) >> trova nella pagina

Vegno dal Giardin (dialettale – scritta il 13/06/2016 – pubblicata il 17/06/2016) >> trova nella pagina

El du Novembre

Il due novembre come tutti sanno è la commemorazione dei defunti e come sempre accade è anche l’occasione per incontrare, proprio al camposanto, parenti e conoscenti che non si vedono da tempo. A iniziare dal giorno prima, dal giorno di Ognissanti che essendo giorno di festa tutti hanno la possibilità di recarsi a “fare visita” a chi non è più fra noi. E si sa, ci scappa sempre il pettegolezzo, il commento sulla “gestione” delle lapidi, su chi non si fa mai vedere e su chi si mette troppo in vista. Un saluto e via, ci si rivede l’anno prossimo, almeno ci si augura!

 

El du Novembre

Tuto l’ano a la pi longa
se ghe va solo col pensiero
ma quando riva el du novembre
se core tuti al cimitero

Anzi, a dirla proprio tuta
se scomizia el giorno prima
tuti ben vestii da festa
dopo mes-a la matina

Eco là, la zia Giusepa
con la scierpa e la bareta
la ga quasi novant’ani
e la va ancora in bicicleta

E la fiola dela Gina
boia can se le cambià
i se conta sia suces-o
dopo che la sa maridà

Varda che lapide incuzia
gnes-un ghe da mai ‘na pulia
ei i fiori i fus-e piassè bei
visto che i me costà dei schei

Par non parlar de la luceta
che la se impiza a intermitenza
ghe saria anca qua da dir
ma bisogna aver pasienza

In fondo, in fondo lo savemo
catar i morti le ‘na scusa
par scambiar quatro parole
col tal sior o la tal sposa

E tra ‘n ciacola sotovoze
‘na preghiera e qualche pianto
al du novembre de sicuro
se s’incontra al camposanto

***

Scomizia: inizia
Maridà: maritata
Incuzia: opaca e sporca

(gianfrancomarangoni 21/10/2020)                                  torna all’elenco poesie

Ed ecco Autunno

Ed ecco Autunno

Ed ecco Autunno
con le foglie gialle
la pioggia e il vento
la nebbia umida
il sole spento

Tempo dell’uva
e del granoturco
delle caldarroste
e del vino nuovo
ad annunciar le feste

Riposa la terra arata
e la rondine ha spiccato il volo
il vento di levante soffia
e trascina le nubi in cielo

Passo sulle foglie gialle
avvolto dalla nebbia
come trasparente scialle

Nel silenzio rotto dal respiro
l’aria umida ristora l’arido sentiero

In essa sagome si muovono
nascoste dietro un velo

E intanto gocce del nuovo autunno
cadono dal cielo

***

(gianfrancomarangoni 04/10/2020)                              torna all’elenco poesie

Giulia

(gianfrancomarangoni 26/06/2020)                    torna all’elenco poesie

Soffia vento forte

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La Cogoma

Utensile da cucina a forma ottagonale generalmente in acciaio con manico in bachelite resistente al calore composto da un serbatoio posto alla base (caldaia o bollitore) nel quale viene depositata l’acqua, da un filtro che trova allocazione in una posizione intermedia che viene riempito da polvere di caffè e dal quale, per una naturale legge fisico/alchemica, passa l’acqua dal momento che si avvicina al grado di ebollizione, catturando l’aroma e le proprietà della preziosa polvere nerastra, andandosi poi a riversare in un altro serbatoio posto nella parte superiore (bricco o raccoglitore) da cui la bevanda, così ottenuta, viene riversata con attenzione e maestria nelle apposite tazzine generalmente di porcellana, bianca o colorata, posta sull’ apposito piattino assieme ad un grazioso cucchiaino. La bevanda va bevuta calda, con o senza zucchero per assaporarne meglio il gusto, possibilmente seduti ad un tavolino in buona  compagnia.

La Cogoma

Sfrotola, sfrotola
vien su che te speto
le diese minuti
che me son alzà dal leto

e se no snaso al pì presto
l’odor del cafè
casco de paca
inzima el palchè

Le dura sveiarse
la matina bonora
ciaparià ‘na peà là ne chel posto
e star soto le cuerte
‘nantra mez’ora

Ma la sveia canaia
che go sul comodin
la me ricorda puntuale
che non son più un butin

Go la fameia
la machina a rate
el mutuo che scade
e da impienir le pegnate

Non le mia cossì fazile
al giorno de ancò
ma almanco la matina
sentemose zo

Con davanti un cafè
che ga da essar un piaser
un po’da gustar
e un po’ da snasar

Ma senti sta cogoma
che ancora la tase
la butaria se podesse
asora le brase

Che le un modo de dir
che da ani la stua
la assà el posto ai fornei
de sicuro più pratici
de quanto i sia bei

Ma eco, la sento
varda come la fuma
el cafè el vie de sora
insieme ala schiuma

Lo udo con calma
senza perdar ‘na goza
caldo e fumante
drento la taza

Un’ocià ala finestra
e da solo me digo
de aver fato el piassè
e con in man la tazina
me gusto el cafè

***

(gianfrancomarangoni 25/11/2019)                    torna all’elenco poesie

Cogoma: moka, caffettiera
Sfrotola: borbottio, brontolio, rumore del caffè che esce dal “camino” della moka
Palchè: parquet, pavimento in legno
Butin: bambino
Brase: braci
Come un Pierrot

Come un Pierrot

Se potessi vincere
il dolore e la tristezza
soltanto col sorriso
o solo una carezza

Smorzare in un abbraccio
l’angoscia e la paura
infondere coraggio
per una notte meno oscura

Avvicinarmi e prendere
altre mani tra le mie
pensare che nel mondo
sono più le verità delle bugie

Far rinascere il sorriso
dove prima c’era il pianto
regalare qualche lacrima
al Pierrot che mi sta accanto

Su una guancia la “preziosa”
sull’altra quella disegnata,
è tempo di rifare il trucco
per la prossima giornata

***

(gianfrancomarangoni 14/11/2019)                     torna all’elenco poesie

Equinozio d’ Autunno

Equinozio d’ Autunno

Tanto al giorno
Tanto alla notte
Tanto alle tenebre
Tanto alla luce

Nell’ animo mio
si prendono a botte
il rancore, l’ira
l’armonia e la pace

Non che tutto ciò
mi sia di gran sorpresa
dal momento che mai mi illudo
sia una partita chiusa

Niente mi appaga
né bene né male si fan sentire
nell’ apatico silenzio
il mondo sembra via, via svanire

Solo le foglie gialle
mi sollevano un istante
poi di nuovo il grigio
poi di nuovo il niente

Equinozio del tanto atteso Autunno
due metà com’è diviso il cuore

Tanto di ricercata gioia
Tanto di ricercato dolore
Tanto di rabbia
Tanto di amore

***

(gianfrancomarangoni 23/09/2019)                        torna all’elenco poesie


Vaca boia, le istà

Estate. Chi la desidera per un anno intero e chi non vede l’ora che passi e lasci il posto all’ autunno e alla stagione più fresca. Chi se la gode al mare o in piscina o ai laghi e chi invece cerca disperatamente un po’ di frescura. Comunque sia, simpatica o meno, l’estate arriva portando i suoi frutti per partecipare, assieme alle altre stagioni, al meraviglioso ciclo della vita.

 

 

 

 

 

 

Vaca boia, le istà

Vaca boia, ma quanto ghe caldo!
Che belo saria longo un fo-so sentà sula sponda
e inveze son qua con le lesene che gronda

Vaca boia, ma quanto stofego ghe!
Zerco na bava de aria fermo soto n’ombria
ma no se moe gnanca na foia
e na cicala noiosa la me fa compagnia

Vaca boia, ma quanto ch’el cioca!
El selese fora el par na fornasa
me pa-sa proprio la oia de morme da casa

Vaca boia, le istà, no gavea mia pensà.
E ogni ano che pa-sa puntuale la riva come gira la rua
par maurar el formento, la polenta e la ua
co-si su la tola no manca mai gnente
la ne porta le sagre e le piaze piene de gente

Vaca boia, seto co-sa te digo,
ghe sarà tempo imbosogno par lamentarse del fredo
e intanto che beo un bel bicer de acqua fresca, penso:
manco mal che le qua!
Soto el portego a l’ombra e me gusto l’istà

***

(gianfrancomarangoni 11/08/2019)                                  torna all’elenco poesie

Sessanta Inverni

La vita è l’insieme delle nostre esperienze e di ciò che di queste resta nei nostri ricordi. Situazioni da riassumere in un libro o in una canzone o in una poesia. A volte meravigliose, a volte drammatiche. 
Io mi ritengo fortunato e a sessant’anni compiuti, se mi fermo a guardare cosa è stata la mia vita, mi sento di dire grazie, per tutto quello che mi ha donato, per il bene che ho ricevuto e anche per le difficoltà da cui ho imparato tanto. Ho voluto iniziare così questa poesia, con la frase di una celebre canzone di Gabriella Ferri “Grazie alla vita che mi ha dato tanto”, e pensare che al futuro c’è ancora spazio per guardare con un po’ di serenità.

 

 

 

Sessanta Inverni

 

“Grazie alla Vita
che mi ha dato tanto”
Per quanto l’ho vissuta
ho riso, amato e pianto

Pianto di gioia
pianto d’amore
pianto di rabbia 
e pianto di dolore

Sono cresciuto in fretta
un po’ poeta e un po’ artigiano
ci ho sempre messo il cuore
ancora prima della mano

Ho contato anch’ io le stelle
e ho espresso mille desideri
Sono stato spesso solo
pochi amici ma sinceri

Ho visto il cielo azzurro
E il buio dentro il pozzo
Mi sono perso e ritrovato
rimesso assieme pezzo dopo pezzo

Grazie alle persone 
che di me han parlato bene
e grazie anche a chi
non ne vuole più sapere

Alla compagna mia di sempre
che mi conosce più di me
mi ha dato i beni più preziosi
e il meglio che ha di sé

Grazie alla Vita
per quanta ne avrò ancora
fosse poca o fosse tanta
la vivrò ora per ora

La vivrò come mi viene
con gli occhi aperti senza catene
riempiendo le pagine dei miei quaderni
partendo da qui, dai miei sessanta inverni

***

(gianfrancomarangoni 28/02/2019)                                 torna all’elenco poesie

Il Conte (storia d’amore e di pedali)

Come d’impeto il torrente
Scende a valle giù dal monte
Di forza sui pedali avanza
Sprezzante del sudore il Conte

Sfoggia i mascolini baffi
E nobiltà dei sentimenti
Scorre nelle vene il sangue
Caldo di carboni ardenti

Dalla penna ciò che detta il cuore
Inspirato dalla Musa stessa
Sulle pagine del diario dedica
Poesie alla sua Principessa

”Amor che a nullo amato amar perdona”
Scrisse un dì il Poeta
Infonde tenacia al Conte
Per raggiungere la sua meta

E come a un manicaretto
Frutto di dovizia e cura
Il palato al fin s’arrende
In seno alla fragranza pura

Così china la testa o Conte
E che vittoria gridi Amore
O torna sulla bicicletta
A impregnar la schiena di sudore.

***

(gianfrancomarangoni 05/02/2018)                                 torna all’elenco poesie

Novembre mio

Novembre mio

Non è questo Novembre
quello che mi aspettavo
cerco la quiete
e mi rimane la sete

Non è Novembre
come lo immaginavo
col tepore d’autunno
e troppa luce d’intorno

La campagna smarrita
si risveglia sorpresa
mentre un alito umido sale
dalla terra scaldata dal sole

La nebbia sparita
già di prima mattina
non cela più alcun mistero
illusione di scernere il falso dal vero

Sui fili d’erba la bruma
alle prime ore del giorno
solo quella un istante mi fa ricordare
che è tempo d’inverno e di focolare

Ma oggi, oggi che piove
oggi che il vento disperde le foglie
oggi è il Novembre che più mi assomiglia

l’anima inquieta ritrova la pace
tra le gocce cadute
sopra il mondo che tace.

***

(gianfrancomarangoni 23/11/2017)                                                torna all’elenco poesie

 

Te l’avea dito! (mi)

E’ qualcosa di innato, contenuto nel DNA e appena capita l’occasione ecco che ci scappa il più sonoro “lo avevo previsto”,  “te l’avevo detto, io”, ecc, ecc. E’ la sindrome del “professore”, quello che sa come si fa a stare al mondo e quando si tratta di dare consigli non lo batte nessuno. Ma attenzione, spesso è anche quello che dice tutto e il contrario di tutto, così non sbaglia mai.

 

 

 

 

 

Te l’avea dito! (mi)

Ma si, te l’avea dito
che un gobo le mia drito

Se no piove pol far belo
t’avea dito anca quelo

Go ‘na testa da paura
le da torghe la misura

Qualsiasi roba diga
capitarà senza fadiga

E no sbaglio proprio gnente
son el più furbo fra la gente

Che la crede de ciavarme
ma so mi come salvarme

Che ogni cristian che vie da fora
lo squadro ben da soto a sora

Cossì se capita un sinistro
posso dir con un zerto lustro

Che gavea tuto previsto
l’avea dito e visto giusto

E anca sta olta finirà
che se no le supa le pan bagnà

***

(gianfrancomarangoni 13/10/2017)                                    torna all’elenco poesie

Prima sera d’estate, il merlo

Prima sera d’estate, il merlo

Fermo su di un ramo dell’albero, il più alto
all’imbrunire riempi l’aria del tuo canto

quando gli ultimi raggi colorano di rosa
le nubi che il cielo avvolgono come il velo la sposa

nella quiete sera rimango ad ascoltare
il suono dei tuoi versi tra i grilli e le cicale

danzano le ombre contro i muri nell’ora vespertina
mosse da una brezza leggera come musica per la ballerina

risuona il cigolio improvviso di una finestra vecchia
sta una mamma con il bimbo sulle sue ginocchia

il colore del glicine, il profumo del tiglio
i fiori di campo nel rituale sbadiglio

un padre racconta consumate storie di eroi
della luna ad oriente che sa tutto di noi

un ricordo mi sfiora mentre guardo lontano
la scia che scompare di un aeroplano

quando steso su un prato con aria curiosa
cercavo la stella più luminosa

poi di nuovo il tuo canto mi riporta al presente
mentre il sole scompare in fondo al cielo a ponente

e così si consuma l’ennesimo giorno
ti saluto con un fischio mentre faccio ritorno

dentro casa alla stanza col focolare
e una finestra coi fiori da dove guardare

il mondo che andrà un po’ alla volta a dormire
e un nuovo giorno arrivare tutto da scoprire.

**

(gianfrancomarangoni 11/06/2017)                                          torna all’elenco poesie

 

La Puntura

 

 

Chi non ricorda l’ultima “puntura”? Grandi e grossi, giovani o vecchi, per tutti è una visione traumatica. E non meno dura è la vita di chi le punture le deve fare, inventando ogni volta nuovi stratagemmi sempre meno convincenti per i  proprietari delle povere natiche bersaglio delle famigerate siringhe.

 

 

 

 

La Puntura

Fermate li, non sta verghe paura
smola le ciape che te fao la puntura

Ghe meto un secondo, le un colpo de man
cossì te si a posto fin a doman

Cossa oto che sia, la ucia le fina
se te fe el brao te dao ‘na mentina

***

Da na parte o da l’altra poco ghe conta
struco i denti e anca i oci quando sento la ponta

Spero che almanco la man no la trema
che non me toca impenir la culata de crema

par evitar che vegna fora un duron,
me par za de sentirlo grosso come un molon

Gheto finio? Manco mal le passà
dopo te conto come le stà

Fe presto a ridar, a torme in giro vualtri
ma fao el figo anca mi col cul de chialtri !

***

(gianfrancomarangoni 04/05/2017)                                 torna all’elenco poesie

 Buon Natale

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Buon Natale

Buon Natale tra le luci e i colori
A chi sta al caldo chiuso in casa
E a chi se ne sta fuori

Buon Natale agli ingegneri e ai sognatori
A chi aggiusta gli orologi
E anche ai muratori

Buon Natale al tassista e al panettiere
Ad un letto d’ospedale
E a tutte le infermiere

Alla cassiera che fa i turni in pizzeria
Buon Natale a chi rimane
E a chi sta andando via

E Buon Natale anche a te, che un altro anno è passato
E Buon Natale anche a me
Che l’ho passato con te

Buon Natale a chi sarà mandato in guerra
E a chi ha dovuto scappar via dalla sua terra

Alla maestra che sa a memoria la poesia
All’illusionista e alla sua fantasia

Buon Natale al mio vicino chiunque sia
Alle stelle in cielo e magari anche alla mia

E Buon Natale anche a te, che è di nuovo Natale
E Buon Natale anche a me
Che lo passo con te

**

(gianfrancomarangoni 30/11/2016)                                                           torna all’elenco poesie

 

Dolce Novembre

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Dolce Novembre

Dolce Novembre
quanto mi manchi
con le tue foglie secche
dentro i miei occhi stanchi

col sole pallido
che bacia la rugiada
sui fili d’erba
al ciglio della strada

col vento freddo
che batte contro il viso
lo sguardo assente
l’accenno di un sorriso

dentro il cappotto
con la sciarpa al collo
le mani in tasca
e un berretto giallo

sopra pensiero
per strade di campagna
col naso rosso
e il respiro che si bagna

la stufa accesa
dentro un’ osteria
un caffè caldo
in buona compagnia

Dolce Novembre
ancora mi manchi
trascorre il tempo
ma il cuore non fa caso
ai miei capelli bianchi

**

(gianfrancomarangoni 10/10/2016)                                                   torna all’elenco poesie

 

L’ Eredità

testamento

Sono convinto che tutti quanti, chi in prima persona, chi perché conoscono qualcuno che lo è stato, chi per sentito dire, sanno delle vicissitudini conseguenti a un’ eredità. Soprattutto se gli eredi sono molti e soprattutto se mancano quelli legittimi, genitori, figli e nipoti (dei nonni) per capirci. A volte arriva la notizia della morte di un lontano zio magari pieno di soldi con nessuno al quale lasciare i suoi averi ed ecco allora accorrere tanti nipotini affranti e speranzosi. Oppure c’è il vecchio nonno da accudire, troppo vecchio per saper amministrare la pensione e il gruzzolo annotato nei libretti in banca. Il suocero che rigirato ben bene va a finire per credere di essere il  padre che non è mai stato.

Si dice che in guerra e in amore tutto sia permesso. Niente in confronto a quello che si farebbe per i soldi. “Mors tua, vita mea” recita una celebre locuzione latina. Con buona pace dei “legami” di sangue e col pensiero rivolto alla “Buon’ Anima” nel momento del trapasso.

L’ Eredità

Porca miseria, el zio Bepi le morto
preparate impressia ch’el ndemo a catar
che no voria che i pensesse che volen farghe un torto

dai che vien tardi, parecia anca i fioi
e par sugarte le lagreme to su dei fazoi

me l’a dito la Gina che la ghe fasea da badante
che par via dei parenti passaria da ignorante

l’era vecio e imbambito ma pien de moneda
messi in banca o ala posta le meio ‘ndar veda

che i sarà tuti in fila come i vampiri
pianzoti busiari e qualche lamento
col pensiero che sconto da qualche parte
ghe sarà de sicuro un testamento

me par de vedarli al funeral
“cielo mai questo, da ‘ndoe vienlo quellà”
i spunta fora come i funghi nel bosco
tuti ala cacia de l’eredità

le proprio vera che finché te si al mondo
gnessun ghe fa caso se te si moro o biondo
gnessun i te domanda come te ste
noi sa mai fato vedar gnanca par un cafè

ma se solo i s’ incorze che ghe spuza de schei
i se presenta de corsa, tuti brai butei
sperando che prima che te tiri ‘na brena
te te ricordi de lori con la carta e la pena

perciò caro mio fin che te pol
godete in barba a tuta sta gente
che quando le ora de far el gran salto
de quel che ghe resta non te porti via gnente

e sbirciar de scondon quelo che i fa
ridendoghe a drio da l’ aldilà

***

(gianfrancomarangoni 14/08/2016)                                                    torna all’elenco poesie

Impressia: in fretta
Catar : trovare
Parecia: prepara
Imbambito: rimbambito
Tirar ‘na brena: passare a miglior vita
De scondon: di nascosto

 

Vegno dal Giardin

Cerea - Via GiardinoPer quanti sono cresciuti tra gli anni ’60 e ’70 lungo quel pezzo di strada che unisce Cerea alla frazione di Cherubine era come un segno particolare sulla carta di identità. Spesso lo si diceva con orgoglio “vegno dal Giardin”, era come distinguersi, affermare di appartenere ad una comunità ben precisa.
Vai Giardino è stata una delle tante “Via Gluck” cantata da Celentano, che col tempo si è trasformata. Sono spariti i campi con le vigne, gli alberi e al loro posto oggi si trovano tante villette con bei giardini, ben tenuti, da guardare con ammirazione ma dove è severamente proibito giocarvi sopra.

 

 

Via Giardino

Vegno dal Giardin

**

Ghe ‘na strada tuta curve
in doe pas-arghe pian pianin
tuti quei che ghe ‘nda starghe
i dise “Vegno dal Giardin”

Anca mi sera del posto
fra Zarea  e le Carubine
quando ancora ghera i campi
de fasoi e de tegoline

Poche machine pas-ava
e mi sentà su la mureta
coi me amici preferiti
una a una le contava

in quel toco belo drito
da Bissolo a Podestà
dove anca con le moto
i corea che no se sa

La par via ghera de tuto
dal mecanico a le boteghe
ci metea ben i cavej
e ci fasea le careghe

E del largo par zugar
ghe nera fin che sera stufo
a balon o a pistoleri
o tirarghe contro i UFO

E col tempo che pas-ava
altre strade ma ciapà
ghe ci ga fato le valise
e ci inveze le restà

Ma anca quei che ie ‘ndè via
parlando a olte col vizin
sel ghe domanda “da ‘ndo sito?”
el dise “Vegno dal Giardin”

***

(gianfrancomarangoni 13/06/2016)                                                              torna all’elenco poesie

Scritta prendendo spunto da un commento postato su fb dal mio amico Daniele al quale dedico questi versi, così come li dedico all’altro mio amico Giani (con una sola “n” come si dice in dialetto) e ai tanti che hanno vissuto o che ancora vivono in Via Giardino.

 

Zarea: Cerea
le Carubine: Cherubine, frazione di Cerea
tegoline: fagiolini
mureta: mura di cinta bassa con sopra la rete o la cancellata
i corea che no se sa: andavano veramente forte
careghe: sedie

Écome qua

19620916_Cadalogo_Gianfranco012“Son da Cadalogo”, così diceva chi abitava in quella via del Comune di Cerea, spersa tra le frazioni di Cherubine e Aselogna, dove un gruppo di vecchie case dava dimora a una comunità di agricoltori. La sono nato, alle nove di un lunedì mattina piovigginoso e freddo e la ho fatto le mie prime conoscenze di quel mondo così naturalmente semplice. Di quei luoghi, tuttavia, non ho molti ricordi. All’età di quattro/cinque anni, mi trasferii con la mia famiglia a Cherubine dove feci le prime amicizie, e dopo qualche anno ci avvicinammo a Cerea (semo ‘nde a star al Giardin) dove ho trascorso il resto della mia infanzia e l’adolescenza. Dopo sposato le vicende della vita mi hanno da prima portato in un altro paese e poi a tornare nuovamente a Cerea dove, con mia moglie e i nostri due figli, abbiamo cambiato più volte casa fino a stabilirci in questa in cui  ora viviamo. Di quel bambino, di oltre cinquant’anni fa, ricordo poco, ma dentro mi è rimasto qualcosa che ogni tanto mi fa tornare alla memoria da dove vengo, le mie origini, così umili quanto ricche di quei valori di semplice umanità che, mi auguro, abbiano fatto di me un uomo con qualche buon principio, come si dice dalle nostre parti “che sta nel mazo, a olte tristo e a olte bon”.

 

 

§

16 settembre 1962

Écome qua
***
Écome qua,
me presento da novo
son nato d’inverno
in Via Cadalogo
*
Nela casa col portego
e un bel fogolaro
col seleze fora
e par sofito el solaro
*
Coi campi e le vegne
con le galine e con l’orto
dove mi o verto i oci
là, me nono l’e morto
*
Là, dove el Lavegno
el va su a mezogiorno
sentà, coi pie ne l’acqua
me piasea guardarme intorno
*
Son cresù in bicicleta
sul piazal dela cesa
zugando a scondirola
coi compagni de scola
*
E ancora ghe penso
a quando sera buteleto
me rivedo spensierà
a tegner la orlanda in mezo al prà
*
Coi me zianquant’ani e pas-a
go cambià paesi e case
me son fato ‘na fameia
e go un laoro che me piase
*
Ma me son mai desmentegà
da dove vegno e ci son
son sempre quel da Cadalogo
a olte tristo e a olte bon.
***

(gianfrancomarangoni 21/04/2016)                                                              torna all’elenco poesie

Cadalogo è una via di Aselogna, frazione del comune di Cerea
Seleze: cortile, aia
Solaro: solaio
Lavegno: fiume/fosso che passa per Aselogna
Scondirola: nascondino
Buteleto: ragazzino
Orlanda: aquilone
Tristo: inteso come chi sbaglia/ che commette errori
21/04/2016

riso con la zucca (3)

Riso co’ la zuca

E’ l’autunno la stagione buona, buona per le zucche. Quando si parla di zucca è facile pensare ad Halloween, tralasciando il fatto che innanzi tutto la zucca è un ottimo alimento, energetica, ricca di minerali (calcio, ferro, sodio e potassio) e vitamine (A, B, C e PP). La sua polpa contiene diversi principi attivi, carotenoidi soprattutto, ma non sono da trascurare nemmeno i semi di cui se ne fa uso sia alimentare e sia terapico.
Tuttavia, sarò un nostalgico, ma anche una semplice zucca  mi riporta a tempi oramai lontani, quando, approfittando della stufa a legna accesa nei giorni di freddo, mettevo nel piccolo forno qualche pezzo di zucca e una manciata di semi, e rimanevo lì a scaldarmi le mani, aspettando con impazienza che “qualcosa” fosse finalmente pronto da mangiare.  Abitudine che non ho ancora perso, anche se la stufa a legna è stata sostituita da un forno elettrico.
E non si può tralasciare di certo il riso con la zucca. Bello e fumante nel piatto, accompagnato da un buon bicchiere di vino, mentre il vapore sui vetri delle finestre fa apparire ancora più fitta le nebbia di Novembre.

Riso co’ la zuca
*
Gialo nel piato
fumante e dorato
 *
come verzo la porta
ghe sento el profumo
’na lavada ale man
e me sento par primo
 *
ma non fago el vilan
resto lì a guardarlo
a spetar la fameia
par insieme magnarlo
*
varda che te te scoti
supia sora el piron
gireghe intorno
a ogni altro bocon
*
e se te scota la boca
non ciapar mia paura
un bicer de vin rosso
eco pronta la cura
*
con un ocio sul piato
e uno ala teia,
manco mal ghe ne ancora,
che bon el riso co’ la zuca
dai valà, femolo fora!
*
**
(gianfrancomarangoni 30/10/2015)                                                    torna all’elenco poesie
 

caldo

Istà (Estate)

Che non ci siano più le mezze stagioni oramai è un dato di fatto e anche quelle che sono rimaste assomigliano ben poco agli inverni e alle estati con le quali sono cresciuto. Non è questa la circostanza per affrontare discussioni in materia di mutazioni climatiche e delle cause che possono averle indotte. Il caldo e il freddo ci hanno sempre accompagnati, almeno in queste nostre regioni, scandendo il tempo della vita contadina e con essa il passare degli anni. Oggi si è tentati ad estremizzare qualsiasi cosa, fenomeni meteo compresi, e in qualche occasione effettivamente non ci si va molto lontano (bufere, tempeste, “bombe d’acqua”, periodi di siccità ed altri eccessivamente piovosi). E tutto entra a far parte di quella scienza che si chiama statistica e che pone ogni fenomeno al di sopra o al di sotto della normalità. Tuttavia chi può arrivare con la memoria ad alcuni decenni fa credo che si ricordi dei “ghiaccioli” appesi alle grondaie e dei fossi ghiacciati, così come delle estati anche allora roventi, delle siccità e di paurosi temporali. Tutto si svolgeva secondo un ordine naturale e altro non si poteva fare se non accettare quello che il “Cielo” ci mandava. In tutta serenità, guardando al massimo da che pare tirava il vento o di come calava il sole la sera.

Istà
(mariasantissimachecaldo)
*
I na dito “quei del tempo”
che sarà na gran calura
anca st’ano ecezionale
tanto da far proprio paura
 *
pure el nome i gha dà al caldo
solo quelo el te spaventa
ghe ci pensa zà a l’iferno
e ci a na bibita ala menta
 *
e ci se vede su in montagna
in braghe curte e canotiera
a gustarse l’aria fresca,
fastidiosa verso sera
*
Tuto sta a no farghe caso
che l’istà la riva istesso
senza che i te lo ricorda
ogni dì sempre più spesso
*
Alarme ghe caldo, alarme ghe fredo
pieni de ansia in continua emergenza
a spetar che se avera le prevesion
sperando ch’el tempo el ne usa clemenza
*
Epure ancora ricordo
un buteleto descalzo
saltar come un grilo
sul seleze impizo
*
un omo sentà
soto l’ombra de un piopo
che guarda el formento
e pensa par dopo
*
meza anguria moreta
sula tola taià
che stasera se zena
col pan-biscoto pocià
*
la racolina dal fosso che la tien compagnia
la cicala che recita sempre la stessa poesia
*
L’era l’istà dela me primavera,
go girà l’ocio un secondo e la me scapà via
*
***
(gianfrancomarangoni 03/08/2015)                             torna all’elenco poesie

Oltre l’ orizzonte

20150228 Garda (2)

 

Oltre l’orizzonte

Nell’imminente sera
altro non cerco
se non la quiete
come docile quell’onda
che nel suo calmo andare
giunge finalmente
ad abbracciar la sponda,
mentre lo sguardo
fermo all’orizzonte
mi fa chiedere una volta ancora
cosa vi sia oltre

***

(gianfrancomarangoni 06/04/2015)                                             torna all’elenco poesie

 

La Filastroca dela semplicità

disperato501777_horrorE’ nella consuetudine della maggior parte delle persone fare di ogni singola questione un problema di grandi dimensioni. Il cervello si trasforma in un laboratorio in cui si simulano gli scenari più complessi, tante volte senza via d’uscita. Basterebbe tirare un bel respiro profondo e affrontare la questione con un po’ di serenità per rendersi conto di quanto la soluzione sia alla nostra portata. Vedere e prendere semplicemente le cose per quello che sono come ce lo suggeriscono da tempi antichi i “vecchi saggi” con l’aiuto di questa filastrocca che ho chiamato “Filastroca dela semplicità”:

**

Mi go fame, sono e se,
spira al naso e fredo ai piè
Magnando, dormendo, beendo,
gratandome el naso, scaldandome i piè
Me passa
Fame, sono e se, spira al naso e fredo ai piè

semplice, che ve ne pare!

(gianfrancomarangoni 08/12/2014                                              torna all’elenco poesie

Invito a noze

invito-a-nozze“Femo de manco de andar a catarli par un toco, magari i se desmentega. E inveze…”
E’ inutile girarci tanto intorno, oggigiorno un invito a nozze non sempre riempie di gioia e spesso mette in moto le fantasie più bizzarre per trovare una scusa per dire: “Che peccato! NON posso proprio venire!”, tirando un bel sospiro di sollievo e sperando che se la siano bevuta (quasi mai). Già perché “quelli là”, che d’improvviso si sono ricordati anche di te, avevano calcolato tutto: la lista di regali utili fatta nel negozio di fiducia (quelli meno costosi saranno i primi a essere prenotati dagli invitati più svelti) e un “tot di buste” per coprire il costo del viaggio di nozze. E quando si parla di “busta”, mano al portafoglio: bisogna che salti fuori il costo del pranzo, del biglietto d’invito, della bomboniera, del prete che vuole la sua parte sotto forma di generosa elargizione e qualcosa deve pur restare anche ai due sposini. Sperando che il vestito messo per la Comunione del figlio più piccolo vada ancora bene, altrimenti l’esborso come minimo raddoppia. E ironia della sorte succede che poi a tavola non ci si può neanche ingozzare come si addice all’occasione: il diabete, il colesterolo, la gastrite, la colite, i chili da tenere sotto controllo, … che stress! L’invitato ha deciso: ha un altro impegno, inderogabile!
Che tristezza!
Eppure dovrebbe essere un giorno meraviglioso, e a renderlo tale dovrebbe contribuire ogni invitato col suo fare festoso e col suo calore da spargere intorno agli sposi. “Pochi ma boni!” è proprio così che dovrebbe essere, perché la festa la si fa con chi ci vuole bene, senza mettersi a fare calcoli di convenienza. E chi ci vuole bene sarà lì perché gliel’ha consigliato il suo cuore. Forse molto tempo fa, è come se stessimo raccontando una favola, era proprio così. Chi si sposava aveva bisogno di tutto e non si metteva a calcolare il valore dei regali che riceveva. Il pranzo magari era organizzato “in famiglia” per i parenti e gli amici più cari.
E se oggi fosse come allora!? Dopo tutto “ i pochi ma boni, i ghe ancora…”

Invito a noze

Cara moier, gheto sentio la notizia?
la fiola del Gino la sa fato noiza
**
tegnemose pronti a inventarghe ‘na scusa
co’ l’aria che tira le meio darghela sbusa
se i ne invita al completo, in quatro in fameia
par un toco me sa che resta uda la teia
**
No le più come ai tempi che bastava ‘na bela scudela
de tera cota o de vero, o magari ‘na utile ombrela
**
al giorno de ancò de gnente più i ga bisogno
se non de inventarse un viazo da sogno
da pagarse coi schei che i tira su co le buste
e inveze mi resto qua con le scassele ben lustre
che par farli contenti e restar de bon grado
par siè mesi me toca magnar brodo de dado
**
Altro che festa par i sposi contenti
qua la festa i la fa ai amici e parenti
**
Semo proprio malmessi pensar in sta maniera
ma come in tute le fole ghe manca la parte più vera

**
‘Na tola strapiena de gente sincera
che magna e che bala dala matina ala sera
invità dai sposini par far parte dela so storia
messi drento ale foto come un bel promemoria
parchè quelo che conta ala fine del giorno
le che ci te vol ben te ghe ie avui tuti intorno
***

(gianfrancomarangoni 05/11/2013)                                  torna all’elenco poesie

Sul Lago Maggiore

Villa Pallavicino (7)

Sul Lago Maggiore

Sul Lago Maggiore
ci passo le ore
a guardare la scia
delle barche a motore

Sul Lago Maggiore
ci sta un pescatore
che racconta storielle
solo a vecchie signore

Sul Lago Maggiore
sento battere il cuore
di due amanti sorpresi
a parlare d’amore

Sul Lago Maggiore
ogni mese ha un colore
assomiglia a un giardino
con ogni tipo di fiore

Sul Lago Maggiore
mentre seguo la scia
di quell’ultima barca a motore
sento il tempo che scorre

nella tiepida quiete d’estate
quando l’acqua accarezza la sponda
e lascio andare il pensiero
sulla cresta di una docile onda.

***

(gianfrancomarangoni 12/08/2014)                                 torna all’elenco poesie

La Festa de San Zen

San Zeno è uno degli otto quartieri di Cerea in cui annualmente si tiene la “festa” promossa e curata dal Comitato locale. E’ senza dubbio l’evento più importane e più impegnativo per i “volonterosi” che in quell’occasione si mettono a disposizione per la buona riuscita della manifestazione. Succede in quel di San Zeno, ma la stesso accade per il quartiere di San Vito o Palesella, oppure Cherubine, Aselogna, Asparetto, Cerea Centro e Cerea Sud. La si chiami “festa” o “sagra”, la sostanza non cambia di molto, se non per la presenza di qualche giostra e qualche bancarella. Tutti quanti però hanno un filo comune: si mangia, si suona e si balla. Insomma ci si diverte, si passa qualche serata in compagnia davanti a un piatto di risotto, “quello buono”, o di salamelle con la polenta che spargono per i capanni il loro profumo stuzzicante. Ma la cosa più importante è l’occasione per molte persone di ritrovarsi, di darsi appuntamento al tavolo come “l’anno scorso”, fare “quatro ciacole” con l’amico che non si vedeva da tempo e, tra un sorriso e una stretta di mano, prendere l’occasione per brindare insieme a questa vita che nel bene o nel male non finisce mai di stupirci.

Festa paesana

La Festa de San Zen

Ala Festa de San Zen
Gente che va e gente che ven
Gente che magna polenta e panzeta
E dopo pedala su la bicicleta

Un giro de valzer e uno de tango
Un bicer de vin bianco da gustarse sudando
Tra ‘na ciacola e l’altra soto el tendon
Con ‘na bava de aria da far compassion

Tanti bravi butei che i sa dato da far
Ghe ci tira su i schei e ci fa da magnar
Porta i piati de riso e sparecia le tole
Fin a note macà che le gambe iè mole

Ma oto metar che bela la sodisfazion
Vedar tuta sta gente nel capanon
Che promete, diman de sicuro vegnen
A gòdarse ancora al quartier de San Zen

***

(gianfrancomarangoni 20/05/2014)                                               torna all’elenco poesie

Su & Giù

scala a chiocciolaSu & Giù

Sul letto morbido
Mi prende un brivido
Pensando al torbido
Di un mare gelido

In fondo all’attico
Piuttosto apatico
Sul lato pratico
Un po’ malinconico

Se fuori nevica
Se qui si soffoca
E mi si complica
La fase mistica

A pensarci:

Farei un salto giù da me
Ma non ne ho proprio l’intenzione
Mi sento come un’auto
In attesa di manutenzione

Farei un salto giù da me
Ma ci penserò domani
Respiro a fondo sollevato
Non dovrò cambiare i piani

Però:

E’ poco nobile
Sentirmi fragile
Restare immobile
E vulnerabile

Seduto a leggere
Scoprirmi a fingere
Di non conoscere
Il mio contendere

Così:

Mi cambio d’abito
Resto in incognito
Nemmeno un gemito
Ritorno subito

Sul letto soffice
Di puro lattice
Tutto è più semplice
Con in mano un calice

Ho deciso:

Faccio un salto giù da me
Per riprendere il controllo
Caso mai facessi tardi
E’ che ci son dentro fino al collo

Faccio un salto giù da me
Nonostante l’ora tarda
In qualche angolo è nascosto
Non so che, ma mi riguarda

***

(gianfrancomarangoni 21/02/2014)                             torna all’elenco poesie

Buon Anno

Close up of champagne cork poppingNell’antica Roma del 191 a.C., il Capodanno, che in origine si celebrava a marzo, fu fissato il primo gennaio, mese dedicato a Giano, il dio bifronte che guarda indietro, ossia all’anno che sta finendo, e avanti, ossia all’inizio del nuovo anno. Tuttavia il dio che si celebrava a fine anno era Saturno e durante i festeggiamenti erano i padroni che servivano gli schiavi, era il periodo dei contrari. Danze, suoni di campane, frastuoni di ogni genere, fiaccolate, lancio di roba vecchia dalle finestre. Tutto si svolgeva in quella notte in cui era “lecito impazzire”, in cui ogni gesto diventava un gesto propiziatorio per allontanare demoni e spiriti maligni che mal sopportano i rumori forti o affinché l’anno che sta arrivando sia pieno di prosperità e abbondanza. Usanze he si riscontrano in tutte le culture e che sono ben vive anche ai giorni nostri. Basti pensare ai botti coi petardi, agli spari e all’abitudine che è rimasta in alcune zone di gettare dalla finestra le cose vecchie che non servono più.

Una tradizione contadina vuole che si indossi qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo e qualcosa di rosso: l’indumento vecchio simboleggia l’anno che se ne va, il nuovo l’inizio, il rosso la fecondità e la fertilità. Anche il cibo ha la sua importanza. Le lenticchie, ad esempio, sono simbolo di ricchezza (ogni lenticchia sarà una moneta d’oro) e portarle in tavola è come dare una spintarella al destino nella direzione giusta.

 Fonte: Enciclopedia Treccani

Buon Anno
**
Giro ancora una pagina
del mio solito diario
in questo giorno che è l’ultimo
del calendario
*
Qualche frase soltanto
tra il vecchio ed il nuovo
il passato lo lascio
e prendo quello che trovo
*
Qualche cosa di vecchio,
come le rughe sul viso
che mi mostra lo specchio
*
Qualche cosa di nuovo,
come la gioia e il dolore
e le emozioni che provo
*
Qualche cosa di rosso
che mi calzi a pennello
come la pelle che ho addosso
*
Già mi vedo brindare
a quest’ altr’ anno che viene
con le persone più care
ad augurarci ogni bene
*
E nel mio solito diario,
in quel poco o tanto che resta
con loro scrivo la storia
a tutti Buon Anno, incominci la festa!

**

(gianfrancomarangoni 31/12/2013)                           torna all’elenco poesie

Bigoli e Sardele

Le tradizioni sono la nostra storia e non devono mai essere dimenticate. I bigoli sono un piatto tipico veneto che un tempo i contadini preparavano con ingredienti semplici: farina, acqua e sale. Qualche sarda “sciolta” in poco olio e il condimento è pronto. Considerato un piatto magro, sono diventati il piatto tipico dei giorni in cui la tradizione cristiana chiedeva qualche sacrificio in più con il digiuno e l’astinenza (bisogna magnar de magro), come se già non se ne facessero abbastanza, in particolare il Mercoledì delle Ceneri, il Venerdì Santo e la Vigilia di Natale. Sono passati gli anni e sono cambiati i tempi, l’abbondanza ha preso il posto della carestia ma l’abitudine ha resistito, anche se il significato non è proprio più lo stesso e solitamente ci si alza da una tavola dove digiuno e astinenza non hanno più alcun significato, ma almeno rimane l’occasione per scambiarsi gli auguri, per allungare una mano e dirsi: ”Buon Natale!”

Bigoli e sardelaBigoli e Sardele
**
Ogni Vigilia le sempre de quela
in tola ghe i bigoli con la sardela
*
Messi su come vol la tradizion
senza zontarghe altro gnente de bon
*
Gnente formaio me racomando
bùteli zo, te digo mi quando
*
Da chi du minuti sarò a casa mia
pronto a magnar in compagnia
*
Prepara la tola coi piati più bei
e tira fora el vin bianco che ghe piase ai butei
*
Atenti a le resche che ie fine e le ponze
fense su i manegoti che se no i ne se onze
*
Con ‘na man giro i bigoli intorno al piron
in quel’altra go pronto un bicer de quel bon
*
Mandolato e mostarda par finir el disnar
el cafè nela taza che me fa digerir
guardo fora la nebia con ‘na man in scassela
col gusto in boca dei bigoli con la sardela
**
(gianfrancomarangoni 22/12/2013)                                           torna all’elenco poesie

Santa Lucia

La leggenda narra che a Verona,  intorno al XIII secolo, era scoppiata un’epidemia incurabile che colpiva gli occhi, soprattutto tra i bambini. Il popolo, impotente di fronte al male che stava dilagando, decise di chiedere la grazia a Santa Lucia con un pellegrinaggio fino alla chiesa di S. Agnese che era dedicata anche alla Santa protettrice della vista (da Lux, luce). Era inverno e i bambini non ne volevano sapere di recarsi fino alla chiesa scalzi e senza mantello, così i genitori promisero loro che, se fossero andati in pellegrinaggio, al ritorno sarebbero stati ricompensati coi doni che avrebbe portato la Santa. I bambini, in questo modo convinti, accettarono e l’epidemia scomparve. Da allora, il 13 dicembre in chiesa viene elargita la benedizione agli occhi e la notte del 12 i bambini aspettano l’arrivo di Santa Lucia e dei doni, dolci in particolare, che porta con il suo asinello. Ma quella sera si va a letto presto e si sta con gli occhi ben chiusi, non prima però di aver lasciato sul tavolo un piattino con del cibo per Santa Lucia e il suo asinello.

santa_lucia

Santa Lucia

*

Questa è la notte di Santa Lucia
presto, presto a letto birboni
che già l’hanno vista lungo la via
e se vi trova alzati vi lascia i carboni

*

Latte e biscotti vicino al camino
uno è per lei e uno per il ciuchino
e proprio lì accanto la letterina
scritta sapendo che è poverina

*

Per te giovanotto un bel soldatino
colorato di rosso in legno di pino
col fucile, la spada, il cappello e il tamburo
con lui lì vicino ti sentirai al sicuro

*

Per te signorina che aiuti la mamma
una bambolina di pezza colore del grano
da portare nel letto e raccontarle la trama
del principe azzurro di un mondo lontano

*

Santa Lucia dei miei anni passati
magia di momenti mai dimenticati
Santa Lucia del mio tempo vissuto
scrivevo sul diario e già ero cresciuto
Santa Lucia in questa notte di cielo stellato
regalami lo sguardo stupito di un bambino incantato

***

(gianfrancomarangoni 10/12/2013)                                           torna all’elenco poesie

 

La Zuca

Da sola o con primi e secondi piatti, negli sformati, nei tortini, nei dolci o semplicemente cotta nel forno al punto giusto, quando una leggera crosta la avvolge completamente, la zucca si presta a molteplici impieghi nella cucina, povera o elaborata che si voglia. Un tempo nelle case c’era quell’indispensabile utensile che si definiva “cucina”, una stufa a legna completa di contenitore per l’acqua calda e di un piccolo forno nel quale, tra le altre cose, ci si biscottava il pane che stava diventando un po’ troppo vecchio e ogni tanto vi finiva qualche pezzo di zucca a fargli compagnia. Ricordo che ci gironzolavo intorno finché non era pronta da mangiare e, credete, era una vera delizia. Per non parlare del risotto con la zucca o dei tortelli di zucca, delle vere specialità. Provatela anche sulla pizza: non ve ne pentirete!

zucca-delica
La Zuca

Un bel toco de zuca
cota nel forno
la se magna de gusto
a ogni ora del giorno

Le morbida e dolza
le bela, le giala
nel piato che fuma
la fa oia vardarla

No se buta via gnente
dala polpa ala scorza
le cossì generosa
che la piase par forza

missià nel risoto
o drento i tortei
a ci ie senza denti
ai anziani e ai butei

Fruto dei campi,
de la tera che da li a poco se ponsa
e ariva el fredo che la quacia e la struca
par smolarse al passar de l’inverno
e farghe posto a una nova pianta de zuca

***

gianfrancomarangoni 11/10/2013                                          torna all’elenco poesie

Buon Anniversario

Buon Anniversario

Buon Anniversario

Sarà, che ti vedo ancora
con quel vestito a fiori
che nella brezza d’estate
ricamava le tue forme

Sarà, che l’unica differenza
tra i tuoi occhi e il cielo
è nella profondità del tuo sguardo

Sarà, che il tuo sorriso
è fresco come la rugiada
che riflette il primo sole del mattino

Sarà, che la tua pelle
profuma di primavera
e di fiori sempre nuovi da raccogliere

Sarà, che se ti tengo per mano
nessun sentiero è senza meta
e alla fine di ogni viaggio
ci ritroviamo sempre noi

Sarà, che siamo pagine dello stesso libro
e ogni giorno scriviamo insieme
una pagina nuova

Sarà molto più di quel che è stato
e ce lo racconteremo davanti al fuoco
un anniversario dopo l’altro

***

**dedicato ad Antonella, mia moglie e compagna di vita**

gianfrancomarangoni 19/09/2013                                                                 torna all’elenco poesie

Formento

grano-e-papaveri

Mi sono fermato tante volte ad osservare quella dorata distesa di spighe che si piegano mosse dal vento, impreziosita dai papaveri rossi come rubini. Spesso in quei momenti torno agli anni della mia infanzia, quando il frumento, una volta raccolto, veniva steso ad essiccare al sole per poi essere messo nei sacchi e stivato nel granaio o venduto. Quando potevo mi piaceva affondare la mano nei sacchi di frumento e stringere quei chicchi che poi sarebbero diventati farina per fare il pane che a sera trovavo sulla tavola.

 

 

 

 

 

 

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Formento

Nel campo de giugno
mosso dal vento
varda che belo
sto mar de formento

giala la spiga
se moe come n’onda
la someia a la testa
de na bambola bionda

col papavero rosso
che ghe fa da decoro
proprio come un rubin
incastrà in mezo l’oro

In ogni gran ghe l’amor
ghe fadiga e sudor
de ci laora la tera
coi brazi e col cor

de un papà che ogni giorno
mete el pan su la tola
de un marì che rincasa
quando e ciel le zà viola

de na mama che insegna
ai fioi che bisogna sperar
de na moier che la sera
prepara impizo el fogolar

E fin che core i ricordi
sento ancora la man
che careza la vita
in un pugno de gran.

***

gianfrancomarangoni 30/06/2013                           torna all’elenco poesie

Frumento

grano-e-papaveri

Frumento

Nel campo di giugno
mosso dal vento
guardo rapito
quel mar di frumento

gialla la spiga
si flette nell’onda,
sembra la chioma
di una bambola bionda

col papavero rosso
fiore all’occhiello
o rubino prezioso
sul dorato mantello

In ogni chicco c’è amore
c’è fatica e sudore
di chi lavora la terra
con le braccia e col cuore

di un padre che porta
sulla tavola il pane,
di un marito che torna
da campagne lontane

di una madre che insegna
ai suoi figli sperare,
di una moglie che a sera
accende il focolare

E mentre vanno i ricordi
sento ancora la mano
accarezzare la vita
in un pugno di grano.

***

  gianfrancomarangoni 30/06/2013                                    torna all’elenco poesie

Pesse d’april

pesce-aprile

 

C’è poco da dire in merito a questa curiosa ricorrenza che risale probabilmente a prima che venisse adottato il calendario Gregoriano, in coincidenza con i festeggiamenti del Capodanno, tra il 25 marzo e il 1° di aprile. Quello che leggerete di seguito è ispirato ad un fatto realmente accaduto, che mio padre mi raccontò quando ero ancora ragazzino e che mi fa ancora sorridere ogni vota che lo ricordo.

 

.

 

 

 

Pesse d’april

“Varda gh’el Bepi”
da ogni parte se sente
a ogni passo ch’el moe
in mezo ala gente

E lu come el fusse
la star del momento
caminando nol toca
gnanca el cemento

Senza rendarse conto
che tuta la scena
le dovua al cartel
tacà dedrio a la schena

Ancò le giornada
che ogni scherzo è concesso
senza rabiarte
che tanto le istesso

Rideghe sora
tola con stile
su con la vita
le el Pesse d’Aprile

***

gianfrancomarangoni 01/04/2013                       torna all’elenco poesie

El pegnatin (la magia de ‘na olta)

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Per secoli streghe e stregoni hanno dimorato nella fantasia popolare, alimentando storie stravaganti raccontate nelle sere d’inverno davanti alla luce tremolante e al calore del camino. Da una generazione all’altra rapivano la curiosità e incutevano paura in giovani e bambini, tra il timore reverenziale di chi le raccontava, di chi portava testimonianze di conoscenti e compaesani. Morie inspiegabili che colpivano stalle e pollai al passaggio di “quella vecchia”,  quella da nominare sottovoce, quella che aveva ricevuto la “conoscenza” al capezzale del letto dalla madre che altrimenti non ce l’avrebbe fatta a trapassare. Fiori che appassivano e si seccavano, rituali per individuare la “stria” (strega) e annullare gli effetti dei suoi màlefici. E comunque  c’era anche chi della “magia” ne faceva uso a fin di bene, per procurare guarigioni, sistemare brutte faccende. In tutto questo mondo di buoni e cattivi trovava il suo posto “el pegnatin”, l’esempio di magia popolare più accessibile e meno impegnativa, praticata di tanto in tanto su commissione dalla “maga” meno improbabile del paese.
 

El pegnatin (la magia de ‘na olta)

Là soto el portego
con la grombiala smaria
impeto al fogolaro
se senta la stria

Le parona de l’arte
tramandà ne l’ultima ora
che so mama spetava
par no patir ancora

La gata rufiana
ghe fa compagnia
come la volesse iutarghe
a imbastir la magia

Con el vento che tira
e la piova che casca
brusa fogo stanote
alza la fiama nela borasca

Na zata de galo
e un cuciaro de oio
drento el pegnato
con l’acqua de boio

Na treza de paia
‘nde l’asedo pocià
la raisa segreta
a fetine taià

E dopo un’ ora ch’el boie
tacà soto el camin
le pronto par l’uso
el pegnatin
***

(gianfrancomarangoni 01/03/2013)                            torna all’elenco poesie

Il mio tempo

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Il mio tempo  

Quando il mio tempo sarà consumato
dovrò fare i conti con l’Eternità
per tutte le volte che ho pregato e imprecato
al cospetto del Giudice nell’Aldilà

Quando il mio tempo mi toglierà il fiato
di fare domande non avrò più bisogno
del bene e del male avrò di colpo imparato
e a guardarmi la vita come in un sogno

Quando il mio tempo mi dirà che è finita
cercherò di non cogliermi impreparato
all’ultima mano di questa partita
e sperare che basti il solo averci giocato

Quando il mio tempo busserà alla porta
chissà se sarò pronto ad aprire
nella valigia solo le scarpe di scorta
nemmeno un saluto che già si deve partire

Tempo che ho atteso, che sei venuto e passato
proteso all’infinito ti consumo distratto
mentre schivo l’angoscia di un epilogo incerto
che il mio vivere sia! che abbia gioito o sofferto

gianfrancomarangoni 21/03/2013                                                                  torna all’elenco poesie

Come la rosa

rosa rossa

Come la rosa

Come per la rosa,
così per la vita,
così per l’amore

 

Le spine,  in fondo,
ne fanno ancor più
accrescere il valore

Nel tenerla tra le dita
e respirarne il profumo
sia intenso o delicato
il suo colore
***

gianfrancomarangoni 14/02/2013                                              torna all’elenco poesie

El Polastrel

pollo ruspante

Sono tempi duri, lo sono sempre stati. E ancor di più lo sono per la gente onesta che vuole rimanere tale. Purtroppo la fiducia che si ripone nelle persone con le quali abbiamo a che fare spesso assume l’aspetto dell’ingenuità attraverso la quale impariamo ad essere più attenti nella cura dei nostri affari. “Dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io”; “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”; “pensare male è una brutta cosa però no si sbaglia mai”; e potremmo continuare con molti altri richiami a usare la massima prudenza, che poi non si sa bene se “massima” corrisponda a tanta, molta, di più del solito, eccessiva, … Comunque la si giri la questione rimane sempre la stessa: il pericolo di cedere alle lusinghe di “veri affari”, facili e immediati guadagni, e così via, per poi ritrovarsi inesorabilmente “vittime” di qualche ladro di polli senza scrupoli ed uscirne indecorosamente spennati!

El Polastrel

El raspa par natura
de scato el moe la testa
al bego lì pa tera
le pronto a farghe festa

Tuti i sa che in zuca
del posto el ghe ne vanza
ma in fondo ghe interessa
sol che piena sia la panza

E ti, che te lo guardi
te imagini el pegnato
sul fogo la dominica
col brodo apena fato

Eh si, a ben pensarghe
ogni uno el ga el so posto
ghe ci ga’ le teje
e ci finise a rosto

Le meio star atenti
in sto’ mondo de leoni
guardarse dai cativi
e da quei che i te par boni

Parchè se te t’incanti
l’è proprio un bel disastro
ris-ciar, come se dise
de far la fine del polastro

***

gianfrancomarangoni 31/12/2006                                                                     torna all’elenco poesie

A Rosanna

Dente di leone

Per molti il Dente di Leone (Tarassaco) è una pianta fastidiosa, altri lo considerano un’erba utile e preziosa.
Tanto forte e resistente, quanto leggeri sono i suoi frutti che si lasciano trasportare dal vento

A Rosanna

Te ne sei andata così
senza tanto rumore
in punta di piedi
hai salutato col cuore

Una notte d’inverno
mentre il sole dormiva
per non disturbare
il nuovo giorno che usciva

Un ultimo sguardo
ed un breve sorriso
per mano al calore
custodito e diviso

con le persone più care
come gemme preziose
tra quelle più rare
o come semplici rose

Mentre l’Anima torna
tra gli amori che ha perso
fuori il giorno si tinge
di un azzurro più terso

della Luce Divina
che in quel mentre ha deciso
di tenerti con Sé
lassù nel Paradiso

rosa rosa

E’ quasi un anno che ci hai lasciati e oggi, 3 gennaio, sarebbe stato il tuo compleanno.
Ti porteremo sempre nei nostri cuori, fiore delicato come le rose che tanto amavi.

(gianfrancomarangoni 24/02/2012)
(con la colaborazione e i preziosi consigli di Antonella, mia moglie e sorella di Rosanna)

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Rosa blu dell’inverno

Rosa blu dell’inverno

Immagino un fiocco di neve che cade
e senza rumore alla fine si posa
passando tra i rami spogli d’inverno
sui petali blu di quell’ultima rosa
 
**
Nel giardino imbiancato tutto il mondo riposa
Sotto il manto leggero di un vestito da sposa
 
**
Nel silenzio fatato si diffonde la pace
Solo qualche sospiro, non un filo di voce
 
**
Volo via col pensiero, porto il cuore lontano
Dove il cielo si tocca allungando la mano
 
**
E lo sguardo si perde in un mare di stelle
Sposa mia sei la stella, bella tra le più belle
 
**
Dopo un po’ torno giù, né paradiso, né inferno
nel mio giardino ti cerco per non perderti più
fiore unico al mondo, rosa blu dell’inverno
***
 
gianfrancomarangoni 13/12/2012                                                                  torna all’elenco poesie

San Martin

La leggenda di San Martino, il cavaliere che divise il suo mantello con un mendicante che non aveva di che ripararsi dalla pioggia e dal freddo, la conosciamo tutti. Nominato vescovo di Tours, in Francia, morì a Candes nel 397 e da allora è uno dei santi più venerati, al quale sono state dedicate chiese e intitolati paesi. La festa dell’11 novembre, nata come celebrazione religiosa, nel corso del tempo ha assunto un significato ben diverso, in particolare per il mondo contadino. In quel giorno infatti scadevano i contratti agrari e finiva quindi l’anno di lavoro per i tanti contadini che lavoravano le terre in affitto. Così prima di partire in cerca di un nuovo lavoro e un di nuovo alloggio si faceva una festa con il maiale che veniva macellato proprio in quei giorni insolitamente miti e si assaggiava il vino nuovo accompagnato da castagne, patate dolci e altri dolci tipici. Ai giorni nostri tutto ciò che ne è rimasto è un evento enogastronomico arricchito da qualche festa popolare. Tuttavia nel mio immaginario trovano sempre posto le scene di vita di quel mondo povero e difficile ma semplice e pieno di calore.

San Martin

Preparemose la fiasca
che ariva San Martin
tra ‘na sperà desol e ‘na borasca
con le castagne e col bon vin

Anca st’ano le za qua
su la porta de l’inverno
sia ben messo o malcunzà
ringraziemo el Padreterno

Che de vedarse le gran belo
sopratuto in compagnia
intorno al taolo col novelo
e maroni coti in alegria

E fa gnente se a pelarli
te te scoti i polpastrei
al pensiero de magnarli
te te lecaresi i diei

Le ‘na festa a sta baraca
che te lasci da chi a poco
porta via la schena straca
le el destin de ogni pitoco

Altre tere le te speta
altre boti par el vin
parchè sia ancora festa
quando ariva San Martin

gianfrancomarangoni 04/10/2012                                                             torna all’elenco poesie

Il lago a sera

 

Nel silenzio dell’imminente sera
si sentiva soltanto il rumore dell’acqua
che accarezzava gli scafi delle barche addormentate

 

 

 

e nell’ombra tenue delle nuvole stratiformi
i gabbiani volavano sfiorando le onde
mosse da un alito di vento

 

Uno spicchio di luna si intravedeva nel cielo
appena rischiarato dalla luce rimasta
pochi istanti prima del crepuscolo

 

 

 

 

e già nascosto oltre l’altra sponda,
il sole dipingeva di rosso l’orizzonte,
interrotto a tratti dalla scia di un aeroplano

 

 

 

 

 

gianfrancomarangoni 21/10/2012                                                                  torna all’elenco poesie

El fogazin

Era domenica, e dalla tavola un profumo dolce si disperdeva in tutta la cucina che costituiva la stanza in cui si viveva per la maggior parte del tempo, anche perché era l’unica che godeva del poco tepore che emanava la stufa o il focolare tenuto vivo dalla legna raccolta lungo i fossi. “El fogazin” era pronto. Il dolce fatto con ingredienti poveri, atteso da grandi e piccini, fra non molto sarebbe stato un momento di festa nel giorno più bello della settimana. Tutti sarebbero stati presenti, tutti uniti. Tutti grati alla Divina Provvidenza. Ma attenzione, bisogna essere parsimoniosi:  “el fogazin” non va mica mangiato tutto in un colpo, bisogna “tegner da conto”!

El fogazin

Soto la zendar del fogolaro
quacià dale brase del vecio camin
fin che le done le cura i radeci
pian pian se cusina el fogazin

Lievito e scorza gratà de limon
acqua e farina, zucaro e ovi
impastè con l’amor dele man dela sposa
iè i soli ingredienti che drento te trovi

I buteleti mezi ingranfii
al calar dela sera de corsa i va in casa
e sempre i ghe spera de catar la sorpresa
ecoli lì a testa alta che i snasa

E i pensa “che belo catarse in fameia”
quando dorato l’è in mezo ala tola
tra una fetina e un bicer de acqua e vin
magari ghe scapa anca la fola

La fa festa con poco sta povera gente
quel poco che basta, un po’ più de gnente
intorno ala tola tuti vizin
come le fete del fogazin
***

gianfrancomarangoni 04/10/2012                                                             torna all’elenco poesie

Sete di …

Sete di …

Ho tanta sete,
ti guardo, lì davanti a me, quieto,
mi colpisce di te appena un alito di vento

Affondo le mie radici
in questa terra generosa e riarsa lambita dalle tue onde,
tenere carezze che si allungano sulle sponde

Quasi ti tocco,
sembri così vicino che la realtà ancor più dura nel mio profondo giace,
come sarebbe immergere le fronde mentre questa sete mi consuma e non mi da pace.

***

(gianfrancomarangoni 26/08/2012)                                                               torna all’elenco poesie

 

Grande Madre

Grande Madre

Nei tuoi colori perdo lo sguardo
Nel giallo del grano, nel verde dei monti
Nell’arcobaleno dei prati fioriti
Nel sole rosso di una sera d’estate
Nelle foglie d’autunno
Nel bianco d’inverno come candida veste

Dei tuoi profumi riempio il respiro
Del muschio dei boschi, della pioggia che scroscia
Dell’uva matura che fermenta nei tini
Del pane fragrante nelle tavole in festa
Dei frutti maturi, dei giardini di rose
Dei tigli maestosi delle vie di paese

Ascolto:
Il rumore del mare e dell’acqua che scorre
di un torrente montano che la meta rincorre
Il silenzio incantato di una notte stellata
con il grillo che intona la sua serenata
Sulle fronde degli alberi mossi dal vento
il canto dei passeri,
eppure si ode un lamento

Poiché di te, Gande Madre, l’uomo ha perso il rispetto
con tiranna superbia incoronatosi re
sul tuo grembo ha regnato soggiogandoti a sé

E ti senti tradita, in fondo al cuore ferita
derubata ed offesa eppur non smetti di amare
fai feconda la terra con lacrime chiare

Prima che il mondo ponga fine a se stesso
mostragli, o Madre, tutto ciò che si è perso

Un cielo rosso al tramonto che catturi la scena
mostra a quest’uomo ancora un’alba serena

Nell’imminente risveglio che si spera vi sia
per far parte del Tutto in rinnovata armonia

***

(gianfrancomarangoni 17/08/2012)                                                torna all’elenco poesie

El pingolo

L’altalena (el pingolo) fa parte di quei divertimenti che non passano mai di moda. In questo mondo ipertecnologico è ancora apprezzata dai piccoli e gradita dai grandi che, con ritrovato piacere, si lanciano e si lasciano trasportare fino a provare la sensazione di rimanere sospesi nell’aria, per poi ritornare giù, a sfiorare la terra, e ancora riprendere a salire. Il suo andare avanti e indietro è come il moto perpetuo, il pendolo dell’orologio che scandisce il trascorrere dell’esistenza dell’uomo, della vita che si rinnova e si ripete, di generazione in generazione.

 

El pingolo

**

Ancora ricordo quando ero picolo

le ore passè a dondolarme sul pingolo

**

un’asseta su la soga tacà a le rame del piopo

in fondo a la corte de me nono pitoco

**

che nol vedea l’ora de averghe i butini

molè par el zelese come tanti pulzini

**

e dondola avanti, e dondola indrio

i giorni i passava sudà o ingranfio

**

fin che su l’asse ghe sentà la morosa

pronta a indossar el vestito da sposa

**

che intanto la impara a cosarme l’ovo

nel me toco de corte ho piantà el pingolo novo

***

(gianfrancomarangoni 06/05/2012)                                                     torna all’elenco poesie

El Murador

El Murador

Bisogna avere il fisico per fare il muratore. Estate, inverno, sole, pioggia, a scavare fondamenta o sui tetti, a otto metri da terra. Bisogna avere “occhio”; oggi la tecnologia un po’ lo aiuta, ma trenta o qurant’anni fa … un piombo appeso ad uno spago, la livella a portata di mano e il metro sempre in tasca. Si costruivano così le case, impastando la malta col badile, quello grosso, per poi portarla sui secchi su oltre il solaio, appesi ad una fune che veniva fatta scorrere su una carrucola. La gru era un lusso, troppo costosa per essere acquistata o noleggiata dalle piccole imprese edili, artigiani con due o tre operai e un manovale, parti attive del boom economico. E fra una fatica e l’altra non disdegnavano un buon bicchiere di vino, soprattutto quando serviva ad ammorbidire il panino di mezza mattina, quello classico con la mortadella.

El Murador

**

Con in man la cazola in piè su l’armaura

col caldo e col fredo ie ani ch’el dura

**

La pel come corame le color dei quarei

el gà zinquant’ani ma l’e insieme ai butei

**

Col piombo e la bola l’e un vero maestro

el miscia la malta de zanco e de destro

**

Un poca de panza ghe fa da contorno

l’e colpa del vin beù a mezzogiorno

**

Ch’el serve a chietarghe un poco i sudori

con ‘na ciopa de pan e ‘na fetina de bondola

prosciuto crudo dei muradori

**

(gianfrancomarangoni 04/09/2007)                                                       torna all’elenco poesie

La racolina

Ricordo appena quando le previsioni del tempo per l’indomani si facevano guardando come calava il sole o da che parte tirava il vento. Nelle calde sere d’estate, fra i grilli e le cicale, non era raro sentire il gracidare delle rane che si davano eco in aperta campagna. Chiamano la pioggia, si diceva. Ed in effetti anche loro facevano parte delle previsioni meteo. Preannunciavano la pioggia tanto attesa, una benedizione per i campi riarsi, ma anche un pericolo perché era probabile che dopo tanto caldo potessero scoppiare temporali violenti col serio pericolo di rovinare i raccolti. Oggi le previsioni meteo sono il risultato di complesse e sofisticate elaborazioni ma, se vi capita di trovarvi in campagna e sentite una moltitudine di cra-cra che riempiono la quiete notturna, tenetevi l’ombrello a portata di mano.

La racolina
***
Canta racolina
che l’acqua se avizina
sui campi che da tempo
iè li a patir l’arsura
e de perdar el formento
l’è tanta la paura

**
Canta par le tere
sedià piassè dei copi
i gà le foje ziape
i salgàri e anca i piopi

**
Nei campi de tabaco
i tubi iè destesi
ma i fossi ormai iè suti
non piove da du mesi

**
Canta racolina
ma usa la prudenza
quando se rompe el tempo
de tanto bel racolto
podemo restar senza

**
E se non l’è un disturbo
me bela racolina
canta pure tuta note
ma desmeti domatina

***

(gianfrancomarangoni 18/05/2012)                                                torna all’elenco  poesie

Il Malandrino e L’arcobaleno

Il malandrino e l’arcobaleno
***
Immagina se un giorno
un brutto malandrino
rubasse di nascosto
il rosso all’arcobaleno
“Tragedia” griderebbero
i giovanotti disperati
“siam rimasti senza rose
per le nostre innamorate”
**
Pensa un po’ se il malandrino
di sorpresa all’arcobaleno
portasse via l’azzurro
che da il colore al ciel sereno
Tutto grigio intorno al sole
e che dire poi del mare
pesci e uccelli frastornati
non saprebbero che fare
**
E non sia mai che il malandrino
avvicinandosi con una scusa
portasse via il verde
all’arcobaleno che riposa
I prati, i monti e le foreste
privi di quell’atmosfera
non avviserebbero più il mondo
che è arrivata primavera
**
E se poi il color giallo
il malandrino di soppiatto
sottraesse all’arcobaleno
che per un attimo si è distratto
Nei disegni dei bambini
non ci sarebbe mai più il sole
ed un velo di tristezza
coprirebbe tutto il cuore
**
Ma per fortuna al malandrino
l’arcobaleno piace un sacco
e ogni volta che esce fuori
lui rimane lì incantato
E lo segue in ogni dove
al passar delle stagioni
su una nuvola seduto
con le gambe a penzoloni.
***
(gianfrancomarangoni 23/10/2010)                                                                 torna all’elenco poesie

 

La coscieza fuori posto

Dammi la mano

Un tardo pomeriggio di aprile, c’era ancora il sole, stavo tornando a casa al termine della giornata di lavoro. Salgo in auto e mi appresto ad uscire dal parcheggio. Vedo arrivare dalla mia sinistra un uomo di colore in sella ad una vecchia bicicletta, lo lascio passare e quello, come avesse colto l’occasione che ero ancora fermo, si ferma, si avvicina al vetro e mi chiede qualche soldo per comprarsi da mangiare. Penso che si tratti della solita scusa, buona solo per racimolare qualche spiccio ma quel suo chiedere si trasforma presto in una supplica, quasi una richiesta disperata di aiuto. Cerco nelle tasche qualche moneta, prima 50 centesimi, poi un euro, e poi gli dico che non ho altre monete. Lui le prende e le conta nella sua mano robusta, ancora incerto se sono sufficienti. Io intanto esco dal parcheggio ma la mente è ancora ferma a quella scena. Mi giro a guardare l’uomo che ricambia con un grande sorriso e ringrazia una volta, due, cinque volte. Sto pensando che magari lo avrei potuto accompagnare in un locale e offrirgli un pasto, mi giro ancora ma lui già non c’è più, è molto più in là, in sella alla sua vecchia bicicletta. Dovrei sentirmi bene per aver fatto qualcosa di buono, mi dico, ma non è proprio così …

La coscienza fuori posto
***
Fra le pagine di un giornale
ho trovato come fare
per sistemare la coscienza
col telefono cellulare
**
Basta un semplice messaggio
verso il numero indicato
con due euro di spesa
un poveraccio avrei aiutato
**
Poi lo incontri un pomeriggio
mentre esci dall’ufficio
si avvicina e chiede aiuto,
solo un piccolo sacrificio
**
Guardi l’uomo che hai davanti
in miseria d’abitudine
che gli ha fatto differenza
è una questione di latitudine
**
Provi a fare finta di niente
ma stavolta è un’altra cosa
e mentre frughi nelle tasche
senti il cuore che ti pesa
**
Ti domandi in quale modo
gli potresti dare una mano
e fintanto che ci pensi
toglie il disturbo ed è già lontano
**
E saluta e ti ringrazia
con il suo fare deciso
per quel poco che gli hai dato
ti regala un bel sorriso
**
E ti senti sotto sopra
come un mare agitato
Fratello scusa, non ne ho colpa
se sono stato più fortunato
**
Sarà che è colpa del destino,
Fratello scusa l’indifferenza
sarà che oggi non mi aspettavo
di fare i conti con la mia coscienza
**
(gianfrancomarangoni 20/04/2012)                                                                   torna all’elenco poesie

L’albero “AcchiappaSole”

L’albero “AcchiappaSole”

A braccia tese
il calor del sole
catturi dai mattutini raggi
Affinché la linfa
mossa da un battito di cuore
porti la vita ad ognuno dei suoi viaggi
Spoglio d’inverno
torni festoso a primavera
di gemme e nuove foglie
come una magica atmosfera

(gianfrancomarangoni 12/04/2012)                                                   torna all’elenco poesie

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